PISTOIASETTE

In migliaia in Piazza Duomo per ricordare Vito Schifani, Rocco Dicillo ed Antonio Montinaro

  • CRONACA
  • 08:11, 05/04/22
  • di Lorenzo Vannucci

Le spoglie della Quarto Savona Quindici ripartono a viaggiare per l'Italia da Pistoia, portando per lo Stivale la storia di tre poliziotti che hanno fatto il proprio dovere fino alla fine

Una teca, con sopra il tricolore che, piano piano, viene scostato dolcemente. Una dolcezza che vuole essere quasi metaforica, una sorta di immaginaria carezza che accompagni nella calda area primaverile Pistoiese quello che, i presenti in Piazza del Duomo, sono chiamati a vedere. Il tricolore non c'è più, è rimasto solo il vetro. Se si è attenti la lastra è talmente lucida da poterla trapassare con la vista. Ma, tra un lato e l'altro, rottami deformi di quella che, un tempo, era un'auto. Un'auto come tante, che portava tre persone come tanti. Uomini normali che avevano scelto un lavoro che sarebbe dovuto essere normale. Non lì, non nella Palermo degli anni '90, non al tramonto della seconda guerra di mafia. 

E' colpa della mafia se il 4 Aprile 2022 a Pistoia, in Piazza del Duomo, viene esposta quella teca. E' colpa della mafia se, dentro, vi sono dei rottami deformi. E' colpa della mafia se, in una giornata calda di Maggio, nei pressi di Capaci, cielo e terra sono diventati la stessa cosa. E' colpa della mafia se, il 23 maggio 1992, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro trovarono la morte. Dentro quella teca, che, una volta sollevato il drappo tricolore, riflette la luce del sole pistoiese, vi sono i resti della Quarto Savona Quindici. Su di essa viaggiavano tre ragazzi, uccisi barbaramente mentre svolgevano il proprio dovere: fare da scorta a Giovanni Falcone, uno dei magistrati antimafia che ha dato maggior lustro al Paese, ed a sua moglie, Francesca Morvillo.

Ma Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani non erano e non sono stati solamente 'la scorta di Giovanni Falcone', come troppo spesso vengono ricordati. A spiegarlo è stata qualcuno che quegli eventi li ha vissuti in prima persona: si tratta di Tina Montinaro, moglie di Antonio, uno dei tre ragazzi della Quarto Savona Quindici, investiti in pieno da 500 kg di tritolo. "Quella teca - ha detto Tina Montinaro di fronte ad oltre un migliaio di bambini e ragazzi - è la tomba di mio marito. Dentro ci sono tre ragazzi, tre sogni, tre differenti famiglie. Dovrete parlare con rispetto, ricordare con rispetto costoro. Non era semplicemente 'la scorta', erano uomini. Non erano gli angeli di Falcone, non erano eroi. Erano poliziotti che hanno fatto il loro dovere fino in fondo. Sono molto orgogliosa di mio marito".

Come detto tanti erano le studentesse e gli studenti presenti in Piazza Duomo. Ma la mattinata era già stata segnata da un appuntamento importante per le ragazze ed i ragazzi delle scuole pistoiesi: nella Sala Maggiore del Palazzo di Giano la comunità studentesca ha avuto la possibilità di incontrare Gian Carlo Caselli. Magistrato in pensione di origine piemontese, Caselli ha combattuto il terrorismo negli anni di piombo a Torino prima, la mafia a Palermo poi, dal 1993. Caselli, creando un pool di giovani magistrati tra cui Antonio Ingroia, Roberto Scarpinato ed Alfonso Sabella, riuscì a catturare molti latitanti che, negli anni precedenti, avevano insanguinato la Sicilia con i loro crimini efferati.

Il terrorismo è stato sconfitto, almeno nella forma che ho combattuto io - ha sottolineato Caselli rivolgendosi agli studenti che lo ascoltavano - per la mafia il concetto è diverso. Parlando del primo aspetto, vi racconto la mia esperienza torinese. Torino è sempre stata una città operaia, all'avanguardia per quanto riguarda l'antifascismo e le lotte per i diritti civili.  Ebbene: per un certo periodo questa passione civica sparisce. Ricordo che fu ucciso un importante avvocato, il processo si sarebbe dovuto celebrare di fronte alla Corte d'Assise. Serviva, quindi, che si trovassero sei giudici popolari che assistessero i colleghi togati. Non fu possibile ed il processo dovette essere rimandato di un anno. Fu una grande sconfitta per tutta la città. Poi però. con il tempo, la comunità torinese rialzò la testa e riuscì ad emarginare il terrorismo, attraverso, soprattutto, l'aiuto della società civile".

Per la mafia è molto difficile che questo meccanismo possa effettivamente trovare applicazione. E' lo stesso Caselli a spiegare il perché: "La mafia è insita nella società - la mafia compenetra il mondo reale, avvicinando pezzi  della politica, dell'imprenditoria, della finanza, dell'informazione. Le mafie, tutte le mafie, impestano il nostro Paese da quasi duecento anni. In forza di questo si crea una sorta di zona grigia che fa si che la stessa mafia faccia parte della nostra società. Falcone e Borsellino sono andati vicini a sconfiggere la mafia, così come il pool che, dopo la morte dei due magistrati, si raccolsero dietro il loro lavoro. Poi qualcosa si è rotto. Non dobbiamo tuttavia dimenticare come il nostro sia anche il Paese dell'Antimafia. I familiari delle vittime di mafia, vittime di mafia che sono superiori a millecento, sono uno stimolo morale per chi si vuole occupare di mafia. Dobbiamo ricordarlo sempre".

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Lorenzo Vannucci
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