Vi
proponiamo la seconda parte dell’intervista a Massimiliano Scannerini,
ex-calciatore di altissimo livello nel panorama calcistico pistoiese ed
attualmente allenatore giovanile all’Olimpia Quarrata. Dopo aver parlato dei
suoi inizi nel calcio e le esperienze tribolate con grandi club come Milan e
Fiorentina, continuiamo a conoscere i suoi racconti ed aneddoti: oggi andremo a
rivivere gli anni più importanti della sua carriera vissuti con le maglie delle
squadre locali più come Pistoiese e Prato, ma non solo.
E’ giusto
dire che gli anni migliori della tua carriera li hai vissuti al Prato?
Sì, al Prato
ho giocato cinque stagioni, mi sono divertito tanto e ho pure vinto dei
campionati. A quei tempi c’era grande entusiasmo tra i tifosi e nell’ambiente,
si aveva coscienza che il Prato era importante e lo stadio era sempre pieno: ti
dico che durante le partite la gente non riusciva ad entrare tutta sulle
tribune e quindi cercava in tutti i modi di vedere la partita da fuori. C’era
un’atmosfera ed una passione che nemmeno nella Serie A di oggi vedresti, noi
giocatori eravamo sempre sulla bocca di tutti e la società ci proteggeva come
una famiglia. I presidenti di allora erano tutti ricchi e ambiziosi: ricordo
Senatori, che prima del Prato era vicepresidente della Fiorentina e voleva
portarci in alto, e l’inizio dell’era Toccafondi, che quando prese in mano la società
era un industriale potentissimo benvoluto da tutti i tifosi. Lo stadio era una
bolgia ed era così ovunque: Livorno, Pistoia, Pisa, Siena . . . ma cosa più
importante, abbiamo poi vinto due campionati, due promozioni vissute con grande
gioia.
Te lo
chiedo scherzandoci sopra, però te lo devo chiedere: ma un pistoiese doc come
te, proprio del Prato doveva diventare una bandiera?
Si potrebbe
dire che mi sono scambiato con Andrea Bellini: lui è diventato il simbolo della
Pistoiese per eccellenza, però è pratese! Che posso dire, tante cose sono
successe perché io mi ritrovassi in questa situazione; però prima di andare a
Prato anch’io avevo avuto la fortuna e la possibilità di giocare nella
Pistoiese. Riguardo a quest’esperienza c’è un particolare interessante: a
inizio stagione c’era Ducceschi come presidente e Enzo Melani come allenatore,
poi dopo due mesi la società fu venduta e arrivò il Faraone, il grande Marcello
Melani, che fece cambiare subito lo staff tecnico. All’epoca avevo 17 anni, ero
già stato al Milan ma non ero ancora andato alla Fiorentina, e con la nuova
società mi fecero debuttare in prima squadra, così il Faraone mi chiese: “Ma
chi ce l’ha il tuo cartellino?”; però io non sapevo niente di tutto questo.
Dopo un po’ di settimane venne fuori quello che era successo: Ducceschi aveva
già comprato il cartellino dal Milan prima dell’arrivo di Melani, solo che lo
aveva rivenduto immediatamente alla Fiorentina ottenendo delle clausole
vantaggiose in caso di debutto in Serie A, cosa che però non è avvenuta come ti
ho detto prima. Melani mi voleva tenere, ma non poté farci niente perché i
tempi d’acquisto erano stati anticipati.
Non hai
mai avuto un’altra possibilità di tornare alla Pistoiese? Non parlo solo da
calciatore, ma anche da dirigente.
No, non c’è
stata possibilità: nessuno si è mai fatto avanti. Per me la Pistoiese ha
significato il trampolino di lancio della mia carriera, grazie anche al cambio
della gestione nella società che mi ha permesso di giocare in prima squadra:
forse se il presidente Melani e Bruno Bolchi in panchina non avessero scommesso
su di me, la mia storia avrebbe preso una strada diversa. Certo però che poi
per valorizzarmi davvero c’è voluto il Prato: era destino che andasse così.
Dì la
verità: per quale delle due hai più simpatia?
In realtà
per nessuna, anzi ti dirò: allo stato attuale non andrei a vedere allo stadio
nessuna delle due. In generale mi sono disinnamorato del calcio e questo lo
dico nonostante io continui ad allenare i miei ragazzi all’Olimpia Quarrata: il
punto è che non ci sono più società in grado di avere le disponibilità e le
potenzialità economiche e calcistiche per mettere su un progetto serio che vada
dal settore giovanile alla prima squadra.
Metti
anche Pistoiese e Prato tra queste società?
Sì:
sicuramente la situazione a livello socio-economico non aiuta, ma tutte e due
non stanno dimostrando di avere un progetto e un potenziale che crei quell’attaccamento
ai colori e alla squadra che c’era nei tempi addietro. La gente non va a
riempire tutto lo stadio come il passato, ormai sanno che tutte le società che
si susseguono ci sono un anno, poi ce n’è un’altra l’anno dopo e poi un’altra
ancora; poi nel relazionarsi col pubblico tutte le dirigenze cercano di
sottrarsi e di dare solo le notizie che vogliono far sapere loro. In questo
modo sembra che abbiano qualcosa da nascondere, mentre invece dovrebbero avere
l’onestà di dire quali sono i loro piani e per quanto vogliono restare nella
società, lo devono fare se sono davvero tifosi della loro squadra. Invece ci
ritroviamo stadi fatiscenti e sempre vuoti, settori giovanili inesistenti,
giocatori che cambiano squadra perché non hanno più attaccamento: questo vale
sia per Pistoia che per Prato. Pure il derby, anche se è ancora abbastanza
sentito, non si avvicina minimamente a quello che era un tempo: tutte e due le
città non esplodono di entusiasmo come allora, ricordo che se segnavi nel derby
potevi davvero toccare il cielo con un dito ed eri sulla bocca di tutti i pistoiesi
o i pratesi che ti trattavano come fossi il loro eroe o il nemico numero uno a
seconda della parte in cui stavi. Tutto questo l’ho provato in prima persona
perché ho segnato in un derby ed era pure amichevole!
Ma è vero
che i calciatori di ieri erano più forti di quelli di oggi, soprattutto ai
livelli in cui giocavi tu?
Assolutamente,
la qualità del calcio è diventata molto più bassa, penso sia dovuto
all’evoluzione tattica che ha avuto il calcio e che non mette più al centro il
valore dell’individuo. Quando giocavo in Serie C ogni anno arrivava gente da
sopra a fine carriera e il livello si alzava sempre; oggi non è possibile che
accada a causa di tutti questi tatticismi che ci sono e che abbassano il
livello del gioco. E’ normale che poi in tutte le categorie i prezzi dei
biglietti si siano alzati: con un calcio meno divertente la gente non va più a
vedere le partite; prima invece anche in Promozione in ogni gara il pubblico era
uno spettacolo.
La tua
carriera poi è proseguita anche dopo Prato e appese le scarpe al chiodo hai
intrapreso l’attività di allenatore che continui ad esercitare tutt’oggi: ho
sentito peraltro che sei andato vicino a lavorare per la Nazionale, è vero?
Sì, sono
entrato in contatto con la Federazione grazie ad Innocenzo Mazzini (ex-vice
presidente della Figc), che avevo conosciuto da ragazzo quando andai a giocare
al Peretola di cui il presidente era proprio lui. Nel passare degli anni lui ha
fatto carriera, mentre io dopo aver smesso di giocare ho iniziato subito ad
allenare in Eccellenza al Montale. Quest’esperienza durò solo un mese però, c’erano
troppi contrasti tra me e il presidente Fedi su come far giocare la squadra e
dopo la prima di campionato mi mandarono via. Era il 1994 e per il calcio
dilettantistico di allora fu una cosa clamorosa, fece il giro di tutti i
giornali toscani. La notizia dell’esonero arrivò anche a Firenze agli orecchi
di Innocenzo Mazzini, che sapendo chi ero e la carriera che avevo fatto diede
ordine al segretario di chiamarmi e di portarmi in Figc, visto che si stava
liberando un posto in una Nazionale: a quel tempo Mazzini guidava il settore
giovanile nazionale e gli staff delle Nazionali erano formati soprattutto da
persone di sua fiducia. Purtroppo poi saltò tutto: ancora una volta, come per
la partita contro la Juventus che dovevo giocare e non giocai, quando ho una grande
possibilità salta tutto al momento clou.
Quindi la
sfortuna non ti ha abbandonato neanche quando hai smesso di giocare.
Evidentemente
è così che mi doveva andare. Te ne racconto un’altra, giusto per restare in
tema: mi aveva cercato la Sangiovannese per allenare in Serie C2 e pure lì saltò
tutto all’ultimo secondo. Mi volevano perché quell’anno la Sangiovannese era una
squadra satellite della Juve, che gli mandava giocatori giovani da valorizzare
e un allenatore di loro fiducia per farlo: è una cosa che al giorno d’oggi non
succede più, visto che i presidenti non pensano più a valorizzare i ragazzi e a
fare calcio, vogliono solo comandare. Chiamarono me per primo, ma non mi
scelsero; è uno dei tanti rimpianti che ho, ma poi ripenso subito anche alle
cose belle che ho fatto in carriera: le avventura da ragazzo al Milan, il primo
giorno a Milanello, il Torneo di Viareggio vinto con la Fiorentina, gli anni
del Prato . . . alla fine posso dire che se mi guardo indietro sono soddisfatto
del percorso che ho fatto.