PISTOIASETTE

Aneddoti, racconti e pensieri di un grande calciatore pistoiese di ieri (2° PARTE)

  • SPORT
  • 13:08, 16/09/23
  • di Gianmarco Cherubini

Vi proponiamo la seconda parte dell’intervista a Massimiliano Scannerini, ex-calciatore di altissimo livello nel panorama calcistico pistoiese ed attualmente allenatore giovanile all’Olimpia Quarrata. Dopo aver parlato dei suoi inizi nel calcio e le esperienze tribolate con grandi club come Milan e Fiorentina, continuiamo a conoscere i suoi racconti ed aneddoti: oggi andremo a rivivere gli anni più importanti della sua carriera vissuti con le maglie delle squadre locali più come Pistoiese e Prato, ma non solo.

E’ giusto dire che gli anni migliori della tua carriera li hai vissuti al Prato?

Sì, al Prato ho giocato cinque stagioni, mi sono divertito tanto e ho pure vinto dei campionati. A quei tempi c’era grande entusiasmo tra i tifosi e nell’ambiente, si aveva coscienza che il Prato era importante e lo stadio era sempre pieno: ti dico che durante le partite la gente non riusciva ad entrare tutta sulle tribune e quindi cercava in tutti i modi di vedere la partita da fuori. C’era un’atmosfera ed una passione che nemmeno nella Serie A di oggi vedresti, noi giocatori eravamo sempre sulla bocca di tutti e la società ci proteggeva come una famiglia. I presidenti di allora erano tutti ricchi e ambiziosi: ricordo Senatori, che prima del Prato era vicepresidente della Fiorentina e voleva portarci in alto, e l’inizio dell’era Toccafondi, che quando prese in mano la società era un industriale potentissimo benvoluto da tutti i tifosi. Lo stadio era una bolgia ed era così ovunque: Livorno, Pistoia, Pisa, Siena . . . ma cosa più importante, abbiamo poi vinto due campionati, due promozioni vissute con grande gioia.

Te lo chiedo scherzandoci sopra, però te lo devo chiedere: ma un pistoiese doc come te, proprio del Prato doveva diventare una bandiera?

Si potrebbe dire che mi sono scambiato con Andrea Bellini: lui è diventato il simbolo della Pistoiese per eccellenza, però è pratese! Che posso dire, tante cose sono successe perché io mi ritrovassi in questa situazione; però prima di andare a Prato anch’io avevo avuto la fortuna e la possibilità di giocare nella Pistoiese. Riguardo a quest’esperienza c’è un particolare interessante: a inizio stagione c’era Ducceschi come presidente e Enzo Melani come allenatore, poi dopo due mesi la società fu venduta e arrivò il Faraone, il grande Marcello Melani, che fece cambiare subito lo staff tecnico. All’epoca avevo 17 anni, ero già stato al Milan ma non ero ancora andato alla Fiorentina, e con la nuova società mi fecero debuttare in prima squadra, così il Faraone mi chiese: “Ma chi ce l’ha il tuo cartellino?”; però io non sapevo niente di tutto questo. Dopo un po’ di settimane venne fuori quello che era successo: Ducceschi aveva già comprato il cartellino dal Milan prima dell’arrivo di Melani, solo che lo aveva rivenduto immediatamente alla Fiorentina ottenendo delle clausole vantaggiose in caso di debutto in Serie A, cosa che però non è avvenuta come ti ho detto prima. Melani mi voleva tenere, ma non poté farci niente perché i tempi d’acquisto erano stati anticipati.

Non hai mai avuto un’altra possibilità di tornare alla Pistoiese? Non parlo solo da calciatore, ma anche da dirigente.

No, non c’è stata possibilità: nessuno si è mai fatto avanti. Per me la Pistoiese ha significato il trampolino di lancio della mia carriera, grazie anche al cambio della gestione nella società che mi ha permesso di giocare in prima squadra: forse se il presidente Melani e Bruno Bolchi in panchina non avessero scommesso su di me, la mia storia avrebbe preso una strada diversa. Certo però che poi per valorizzarmi davvero c’è voluto il Prato: era destino che andasse così.

Dì la verità: per quale delle due hai più simpatia?

In realtà per nessuna, anzi ti dirò: allo stato attuale non andrei a vedere allo stadio nessuna delle due. In generale mi sono disinnamorato del calcio e questo lo dico nonostante io continui ad allenare i miei ragazzi all’Olimpia Quarrata: il punto è che non ci sono più società in grado di avere le disponibilità e le potenzialità economiche e calcistiche per mettere su un progetto serio che vada dal settore giovanile alla prima squadra.

Metti anche Pistoiese e Prato tra queste società?

Sì: sicuramente la situazione a livello socio-economico non aiuta, ma tutte e due non stanno dimostrando di avere un progetto e un potenziale che crei quell’attaccamento ai colori e alla squadra che c’era nei tempi addietro. La gente non va a riempire tutto lo stadio come il passato, ormai sanno che tutte le società che si susseguono ci sono un anno, poi ce n’è un’altra l’anno dopo e poi un’altra ancora; poi nel relazionarsi col pubblico tutte le dirigenze cercano di sottrarsi e di dare solo le notizie che vogliono far sapere loro. In questo modo sembra che abbiano qualcosa da nascondere, mentre invece dovrebbero avere l’onestà di dire quali sono i loro piani e per quanto vogliono restare nella società, lo devono fare se sono davvero tifosi della loro squadra. Invece ci ritroviamo stadi fatiscenti e sempre vuoti, settori giovanili inesistenti, giocatori che cambiano squadra perché non hanno più attaccamento: questo vale sia per Pistoia che per Prato. Pure il derby, anche se è ancora abbastanza sentito, non si avvicina minimamente a quello che era un tempo: tutte e due le città non esplodono di entusiasmo come allora, ricordo che se segnavi nel derby potevi davvero toccare il cielo con un dito ed eri sulla bocca di tutti i pistoiesi o i pratesi che ti trattavano come fossi il loro eroe o il nemico numero uno a seconda della parte in cui stavi. Tutto questo l’ho provato in prima persona perché ho segnato in un derby ed era pure amichevole!

Ma è vero che i calciatori di ieri erano più forti di quelli di oggi, soprattutto ai livelli in cui giocavi tu?  

Assolutamente, la qualità del calcio è diventata molto più bassa, penso sia dovuto all’evoluzione tattica che ha avuto il calcio e che non mette più al centro il valore dell’individuo. Quando giocavo in Serie C ogni anno arrivava gente da sopra a fine carriera e il livello si alzava sempre; oggi non è possibile che accada a causa di tutti questi tatticismi che ci sono e che abbassano il livello del gioco. E’ normale che poi in tutte le categorie i prezzi dei biglietti si siano alzati: con un calcio meno divertente la gente non va più a vedere le partite; prima invece anche in Promozione in ogni gara il pubblico era uno spettacolo.

La tua carriera poi è proseguita anche dopo Prato e appese le scarpe al chiodo hai intrapreso l’attività di allenatore che continui ad esercitare tutt’oggi: ho sentito peraltro che sei andato vicino a lavorare per la Nazionale, è vero?

Sì, sono entrato in contatto con la Federazione grazie ad Innocenzo Mazzini (ex-vice presidente della Figc), che avevo conosciuto da ragazzo quando andai a giocare al Peretola di cui il presidente era proprio lui. Nel passare degli anni lui ha fatto carriera, mentre io dopo aver smesso di giocare ho iniziato subito ad allenare in Eccellenza al Montale. Quest’esperienza durò solo un mese però, c’erano troppi contrasti tra me e il presidente Fedi su come far giocare la squadra e dopo la prima di campionato mi mandarono via. Era il 1994 e per il calcio dilettantistico di allora fu una cosa clamorosa, fece il giro di tutti i giornali toscani. La notizia dell’esonero arrivò anche a Firenze agli orecchi di Innocenzo Mazzini, che sapendo chi ero e la carriera che avevo fatto diede ordine al segretario di chiamarmi e di portarmi in Figc, visto che si stava liberando un posto in una Nazionale: a quel tempo Mazzini guidava il settore giovanile nazionale e gli staff delle Nazionali erano formati soprattutto da persone di sua fiducia. Purtroppo poi saltò tutto: ancora una volta, come per la partita contro la Juventus che dovevo giocare e non giocai, quando ho una grande possibilità salta tutto al momento clou.

Quindi la sfortuna non ti ha abbandonato neanche quando hai smesso di giocare.

Evidentemente è così che mi doveva andare. Te ne racconto un’altra, giusto per restare in tema: mi aveva cercato la Sangiovannese per allenare in Serie C2 e pure lì saltò tutto all’ultimo secondo. Mi volevano perché quell’anno la Sangiovannese era una squadra satellite della Juve, che gli mandava giocatori giovani da valorizzare e un allenatore di loro fiducia per farlo: è una cosa che al giorno d’oggi non succede più, visto che i presidenti non pensano più a valorizzare i ragazzi e a fare calcio, vogliono solo comandare. Chiamarono me per primo, ma non mi scelsero; è uno dei tanti rimpianti che ho, ma poi ripenso subito anche alle cose belle che ho fatto in carriera: le avventura da ragazzo al Milan, il primo giorno a Milanello, il Torneo di Viareggio vinto con la Fiorentina, gli anni del Prato . . . alla fine posso dire che se mi guardo indietro sono soddisfatto del percorso che ho fatto.

Gianmarco Cherubini
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