Conversando con Sofia Ancillotti, Dottoressa in Pittura e specializzanda in Progettazione e Allestimento degli Spazi Espositivi. I suoi maestri, la sua idea di arte, i suoi luoghi del cuore
Prosegue il nostro dialogo con le operatrici culturali del territorio, giovani donne che hanno fatto della loro passione per l’arte una professione e che adesso si ritrovano alle prese con le limitazioni imposte dalla pandemia a questo importante settore della nostra economia.
Dopo la guida turistica pistoiese Caterina Bellezza e la storica dell’arte pontigiana Francesca Manfredini, è il turno di Sofia Ancillotti, larcianese classe 1997. Il suo ultimo traguardo è la laurea triennale alla Scuola di Pittura dell’Accademia della Belle Arti di Firenze, conseguita il 27 febbraio 2020, pochi giorni prima della chiusura delle Università. Il suo amore per le arti visive nasce già nel 2011, quando si iscrive al Liceo Artistico Petrocchi di Pistoia. E’ lei stessa a raccontarlo: “I primi due anni ho studiato architettura, mentre gli ultimi tre anni mi sono concentrata sulle arti figurative, studiando sia le pittura che la scultura. Ad essere sincera non fu una scelta molto facile, perché mi sentivo affascinata dalle prospettive e dalle figure geometriche. Ad orientarmi verso il disegno e la pittura, facendomi provare moltissime tecniche, fu il Prof. Franco Benedetti. La cosa più importante è che mi ha dato la possibilità di credere in me stessa, togliendomi quella brutta sensazione di non essere allo stesso livello dei miei compagni. Mi ha mostrato che per ottenere il meglio bastava impegnarsi e mantenere la costanza. Nel triennio c’è stato un momento di calo, forse legato alle turbolenze dell’adolescenza”. Poi, in quinta superiore il primo, illuminante incontro con l’Accademia: “Un luogo che mi aveva sempre affascinata fin da piccola, anche solo passando davanti all’edificio che la ospita. Un professore dette una conferenza al nostro Liceo, parlando della sua vita artistica e delle sue opere. Propose a me e ad altri miei compagni di fare un piccolo tour dell’Accademia, comprensivo di una lezione. Mentre mi trovavo lì ebbi come un dejà-vu, ma spostato nel futuro. Mi vedevo da adulta, con le persone che mi chiedevano quale fosse stato il momento in cui avevo deciso di fare l’Accademia. E io rispondevo indicando il momento in cui mi ero trovata lì per la prima volta. Quella visione mi fece capire che l’Accademia era la mia strada. Lo conferma anche l’incontro con un’altra figura per me fondamentale: il Prof. Pietro Ramotto. Quando entravo in aula e c’era qualcosa che mi turbava, lui se ne accorgeva, mi prendeva da parte e mi chiedeva come mi sentissi. Io gli rispondevo che avevo voglia di dipingere e lui mi avvertiva: ‘Sappi che questo non lo stai facendo perché devi esprimere qualcosa, ma lo stai facendo per te stessa e per contrastare il tuo nervosismo. Devi essere consapevole che questa non è la maniera giusta’. Allora io mi calmavo, tornavo nel mio centro e mi mettevo a lavorare, seguendo i suoi esercizi e soprattutto i consigli che mi dava. L’arte – mi confidava - è una delle più grandi amanti, ma pretende dall’artista tempo, attenzione e ascolto. Devi saper sentire quello che ti chiede un’opera, ad esempio aggiungere quel colore che le serve per riuscire a trasmettere un’emozione che hai dentro e che è non ancora sulla tela. Devi entrare in contatto con ciò che stai creando, e devi trovare la chiave giusta per far parlare la tua creazione”. Dal Prof. Ramotto Sofia ha ricevuto insegnamenti fondamentali in tema di supporti materiali all’opera d’arte: “E’ uno dei pochi professori che ci fa preparare la tela alla maniera fiorentina, facendoci scegliere il materiale: cotone, lino o juta, tra gli altri. La medesima apertura ha riguardato anche la scelta delle varie tecniche di pittura: a tempera, a olio, a uovo, acrilico o gessetti. Creare il supporto su cui poi l’opera prenderà forma è un passaggio fondamentale per sentirla tua”.
Un maestro d’arte Sofia lo ha avuto anche a casa sua, nei luoghi dove è cresciuta: è il pittore e grafico d’arte Lorenzo Buchignani, venuto a mancare lo scorso novembre: “E’ stato il primo che mi ha messo la matita in mano. Nel corso degli anni mi ha trasmesso l’amore per l’arte e in tante occasioni abbiamo anche dipinto insieme, nei nostri boschi delle colline di San Baronto, attingendo alla parte più sensibile di me”.
Insieme a Buchignani e ad un gruppo di artisti del territorio, nel 2018 è nata la rassegna “Anno Zero”, patrocinata dai comuni di Larciano e di Lamporecchio, con la collaborazione della Pro Loco Amici di San Baronto, e ospitata nei locali della chiesa di San Baronto. Sofia è stata una dei giovani artisti ad aver partecipato con una sua opera e lo stesso hanno fatto alcuni suoi compagni di accademia, in un dialogo alla pari con artisti affermati come Buchignani e come Rolf Feddern e Maria Grazia Sangiorgi, che hanno fatto della lora casa di San Baronto un museo a cielo aperto. E’ in questo contesto che l’anno dopo, nel 2019, è stata realizzata la rassegna “Werkstatt”, parola tedesca che significa ‘laboratorio artigianale’. Entrambi gli eventi, presentati dalla Prof.ssa Elisabetta Maccioni, vogliono essere un punto d’incontro tra il passato, rappresentato dai maestri d’arte e il presente, rappresentato dagli artisti emergenti. L’obiettivo è creare qualcosa di nuovo e farsi contagiare vicendevolmente. Di Sofia la Prof.ssa Maccioni ha scritto che utilizza il dipinto come "un portale per esprimere la sua dimensione interiore”.
Nei tre giorni di Anno Zero ogni serata era dedicata a una diversa forma artistica, cominciando dalle arti figurative. Al vernissage della mostra era infatti presente un’opera simbolica contro il femminicidio, realizzata da Claudio Capecchi. Ogni persona che entrava doveva prendere un chiodo, intingerlo nella vernice rossa e inserirlo in un manichino. Il gesto provocava un rumore, che nelle intenzioni dell’artista doveva scuotere le coscienze e sensibilizzare le persone sul silenzio che circonda questo crimine e sullo scarso impegno ad applicarsi sul serio affinché cessi la violenza sulle donne. C’è stato spazio anche per la danza, con l’esibizione di Elisa Brunelli, ballerina diplomata alla Iwanson International School of Contemporary Dance di Monaco di Baviera. Una compagna di studi di Sofia, Martina Tamberi, ha praticato l’arte del body painting sulla ballerina, mentre questa ha danzato in armonia con un video creato da Martina sulla beffa delle teste di Modigliani. Nella cripta della chiesa, si è esibito alla chitarra classica il musicista Mattia Dugheri, più volte vincitore dei premi relativi al Concorso Giulio Rospigliosi, che si tiene ogni anno nella bellissima Villa Rospigliosi di Spicchio. Nell’occasione è intervenuto il Prof. Ivo Torrigiani, che ha scritto un libro sulla stessa cripta e che ha reso edotto il pubblico della straordinarietà del luogo. Si tratta infatti dell’edificio nel quale il 27 Marzo 1018 il vescovo di Pistoia Restaldo avrebbe traslato le spoglie di San Baronto e degli altri eremiti fondatori dell’Abbazia di San Baronto, tra cui Desiderio, l’altro martire a cui è dedicata la chiesa. La terza e ultima sera ha avuto al centro la poesia, con gli interventi di Anna Maria Dall’Olio, Andrea Bassani e Orfeo Paci.
Il dialogo tra le forme artistiche è ben presente anche nella tesi di laurea di Sofia, in cui viene discussa la teoria dell’Amore secondo Platone e l’ispirazione artistica nei sonetti di Michelangelo Buonarroti: “Nei suoi versi emerge come l'Amore sia la chiave d’accesso alla parte più sensibile di noi, quella che ci connette all’invisibile che ci sta intorno. Anche l’arte smuove l’anima e parla il suo stesso linguaggio, un linguaggio primordiale e universale, capace di suscitare emozioni. E’ come se fosse un diverso tipo di scrittura, ma universalmente comprensibile. La parola Amore, per esempio, ha lo stesso significato in ogni cultura e in ogni lingua, pur essendo scritta in modi diversi. Anche il linguaggio dell’arte è un modo di scrivere diverso ma universale, al quale tutti possono accedere, con gradi diversi di comprensione e decodifica, ma con la stessa capacità di emozionare”.
E come vive Sofia il momento della creazione artistica? “Mentre dipingo ho bisogno di chiudermi in me stessa e di concentrarmi. La musica, principalmente quella classica, può aiutarmi. E’ un momento di meditazione, che è necessario per entrare in contatto con me stessa e far emergere un altro di lato di me. Di solito dipingo di notte, avendo bisogno di silenzio e di sentirmi rilassata e tranquilla. Mentre gli altri dormono, nessuno pensa a cosa sto facendo. Inoltre, la sera è il momento in cui posso essere sola con me stessa, con i miei pensieri e le mie emozioni”.
Dei luoghi in cui è cresciuta, Sofia ha una particolare predilezione per il Padule di Fucecchio: “Io abito sulle colline del Montalbano, sono cresciuta nel bosco e ho sempre vissuto a contatto con la natura. A un visitatore che avesse una giornata da trascorrere nella nostra zona io consiglierei di non tralasciare assolutamente il nostro Padule. Quando sei lì ti senti connesso con la natura, completamente immerso negli spazi che sono la casa di leprotti, aironi e tantissimi esemplari di altri meravigliosi uccelli (ben 39 le specie inserite nell’ultimo censimento, ndr. ). Bisogna anche dire che non ho mai visto una Natura tanto bella come durante i mesi del lockdown: il bosco, dopo tanti anni, si è ripreso il suo posto, mentre daini e cinghiali si sono avvicinati alle case. La tendenza, tuttavia, resta quella di sostituire sempre più il bosco con terreni edificabili”.
Sofia sottolinea un aspetto affascinante del Padule, la sua doppia natura di patrimonio naturalistico e storico: “Una delle fortune della mia generazione è di avere avuto i nonni che hanno vissuto la Seconda Guerra Mondiale. Abbiamo avuto la possibilità di ricevere delle testimonianze dirette su quello che è accaduto sul nostro territorio. Insieme alle storie di guerra, ho ascoltato anche storie di vita in tempo di pace. Per esempio il Porto delle Morette, quando l’acqua era ancora limpidissima, era molto vissuto dalla popolazione, che vi praticava piccoli e grandi riti quotidiani, come le feste di paese, il bagno per i più giovani e il lavaggio dei panni per le massaie. Inoltre, era una grande risorsa economica per i pescatori. La parte oscura del Padule è quella della strage dei civili caduti per mano dell’esercito tedesco. Il Giardino della Memoria e tanti altri monumenti sono lì a testimoniare questi tragici eventi, che io ho rivissuto attraverso il racconto di una mia vicina di casa, la signora Iolanda: oggi ha 95 anni, ma era una bambina quando perse il fratello, caduto nell’eccidio del 23 agosto del 1944, insieme ad altri 173 civili. Ho avuto la fortuna, fin dalle scuole elementari, di frequentare dei laboratori con i quali ho appreso quanto sia importante tutelare il patrimonio naturalistico rappresentato da questo bacino idrografico e quanto sia altrettanto importante ricordare i tragici eventi storici che vi si sono verificati. Quando ci vado, sento sempre il dovere di portare rispetto a questo luogo, non solo perché ci vivono altre creature ma anche per la memoria delle persone che vi si erano rifugiate e che non ne sono più uscite. Chi era costretto a vivere in mezzo al bosco pativa la paura di non sapere se avesse mai rivisto i propri cari. La mia nonna mi raccontava che era a lavorare nei campi quando sentì che stavano arrivando i tedeschi: insieme alle altre lavoratrici si rifugiò dentro a un fossato, scavato anteriormente e poi ricoperto con delle tavole di legno, occultate alla vista altrui con erba e fogliame. E’ una cosa che potrò raccontare anche io alle generazioni future, ma non sarà mai la stessa cosa, non avrà mai la stessa intensità del ricordo di chi ha vissuto questa tragedia. Anche i mesi del lockdown mi hanno stimolata a ripensare alle storie raccontate dai miei nonni: la collina di San Baronto era una ‘torretta’, come la chiamavano loro, attraverso la quale comunicavano con i monti intorno a Pistoia”.
La stessa chiesa di San Baronto, aggiungiamo noi, è stata in parte demolita e poi ricostruita proprio in seguito alla guerra. Inoltre, come ha scritto Matteo Grasso, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’età contemporanea di Pistoia e membro dell’Associazione Culturale Orizzonti di Lamporecchio, la formazione partigiana S.A.P. di Lamporecchio partecipò attivamente alla Liberazione insieme alla banda di Silvano Fedi, il partigiano divenuto nel 2020 “cittadino illustre” di Pistoia, a 100 anni dalla sua nascita.
Grazie
a Sofia apprendiamo che il Padule di Fucecchio è circondato da antichi castelli
come quelli di Larciano, di Cecina e di Montevettolini. Essi non ebbero solo una
funzione difensiva, ma anche sanitaria: erano borghi costruiti per allontanarsi
da luoghi, come lo stesso Padule, dove l’aria malsana favoriva lo sviluppo di malattie. Solo con l'avvento del Granduca Pietro Leopoldo di
Lorena nel
1737 si dette inizio alle bonifiche e all’ottenimento di nuove terre
coltivabili. Del
Castello di Larciano restano non solo le mura fortificate ma anche la torre,
dove è ancora possibile salire.
“Io stessa – confessa Sofia - quando mi trovo a camminare su queste antiche pietre, mi ritrovo a fantasticare sulle storie delle persone che le hanno calpestate attraverso i secoli e mi chiedo perché questi borghi non vengano valorizzati come dovrebbero”.
Nonostante
l’incertezza che il percorso accademico di Sofia sta subendo a causa della
pandemia, è forte il suo ottismo e la sua fiducia nel futuro, nella convinzione
che dalle difficoltà possono nascere grandi opportunità. “Ci siamo sempre rialzati
– afferma - come insegna anche la storia più recente. Dobbiamo riuscire ad
incassare il colpo e mettere insieme ciò che rimane per creare qualcosa di nuovo”.

