Il racconto della guida turistica pistoiese Caterina Bellezza
Se le guide turistiche non possono ancora accompagnarci tra i tesori delle nostre città, noi andiamo da loro: è quello che ho fatto in un giorno feriale passato a riscoprire Pistoia dopo lunghe settimane di zona arancione. La storia di questa città passa attraverso le famiglie che vi hanno vissuto e per conoscere origini ed evoluzione della famiglia Cellesi, uno dei casati più importanti di Pistoia, ho scelto di ascoltare le parole di Caterina Bellezza, storica dell’arte ed esperta di marketing turistico territoriale.
Caterina ha aperto in Vicolo dei Bacchettoni lo studiolo che porta il suo nome, un delizioso angolo di cultura tutto dedicato alla storia millenaria di Pistoia, ma che è immerso nella modernità del Giardino di Cino, lo spazio votato all’arte contemporanea e aperto dall’Associazione Spichisi per riqualificare Piazzetta Sant’Atto.
In attesa di poter partecipare ad una delle visite guidate organizzate da Caterina, il consiglio è di non perdere gli aggiornamenti del suo sito ufficiale (https://www.caterinabellezza.it) e di consultare la sua pagina facebook
I Cellesi devono il loro nome al toponimo Celle, di cui sono originari. Si tratta di una località situata nella Valle del Vincio di Montagnana, da non confondere con l’omonima località nei pressi di Santomato. La famiglia, la cui presenza è attestata a Celle già dall'XI secolo, possedeva un castello. Nel momento in cui il Vescovo di Pistoia assegna loro il patrimonio della Chiesa di San Pancrazio a Celle, composto da ben 18 edifici, i Cellesi si trovano di fatto ad esercitare il loro dominio sulla Valle. Si tratta di un punto strategico, in quanto rappresentava la zona di collegamento fra la via Cassia, la strada di origine romana che all’epoca poteva già definirsi di “grande percorrenza” e l'accesso da ovest alla montagna.
La loro importanza aumenta nel momento in cui ottengono la carica di Vicedomini, una funzione molto simile a quella odierna di Vicario del Vescovo. Sono loro ad accompagnare il nuovo Vescovo al momento in cui entra in città per prendere possesso della sede e a rendergli gli omaggi della città stessa.
Secondo Caterina Bellezza, la prerogativa di cui godevano i Cellesi deriva proprio dal fatto che la famiglia si trovava nella già citata posizione di controllo della Valle del Vincio, posizione che rappresentava l'ingresso alla montagna per chi arrivava da ovest.
Non è un caso che il Vescovo entrasse in città proprio da ovest, dalla strada per Lucca, per poi essere omaggiato e accompagnato fino alla Chiesa di San Pier Maggiore, dove avveniva il cosiddetto matrimonio mistico, simbolo dell’unione tra il Vescovo e la Chiesa pistoiese. Fino al XVI secolo questo antico rito avveniva su una specie di letto, posto vicino al Coro delle Monache Benedettine, dove il Vescovo e la Badessa si stendevano e si scambiavano gli anelli. Il pittore danese Kristian Zahrtmann (1843-1917), ha raffigurato questa scena in un dipinto dal titolo: “Il matrimonio mistico di Pistoia - Le nozze mistiche tra il vescovo e la badessa di Pistoja si celebrano davanti alla chiesa di San Pietro nell’anno 1500”.
Oggi, sottolinea Caterina, la Chiesa di San Pier Maggiore è un luogo tristemente dimenticato e degradato e la sua situazione attuale appare molto lontana dal ruolo importantissimo che aveva al tempo dei Cellesi.
La processione arrivava poi in Piazza del Duomo, dove era prevista una funzione religiosa. Infine, dopo un altro corteo solenne in giro per la città, il Vescovo entrava nella sua abitazione, all’interno dell’Antico Palazzo che ancora oggi ricorda tutti i prelati che si sono succeduti alla guida della Chiesa pistoiese.
L’arrivo in città dei Cellesi, il cosiddetto “inurbamento”, avviene alla fine del Duecento. Le fonti storiche ci dicono che Piazza Cellesi (Platea Cellensium) è ricordata in una pergamena del Capitolo di Pistoia dell'anno 1299. La famiglia si stabilisce tra le attuali Via Castel Cellesi e Via dei Fabbri, in quella Piazzetta Romana da dove ha inizio ogni 25 luglio il corteo in onore di San Jacopo. E’ un luogo significativo, in quanto la Sala era il centro dell'attività economica ma si trovava anche vicinissima alla Piazza del Duomo, sede del potere politico e religioso.
Scelgono di abitare all'interno di quella che era la prima cerchia muraria e realizzano un vero e proprio castello, la cui struttura circolare e chiusa è intuibile ancora oggi.
La famiglia Cellesi è l'unico esempio di consorteria registrato a Pistoia: in quel fortilizio, proteso anche verso l’attuale Via Cavour e fatto costruire da Giovanni Cellesi, abitavano solo loro, con intorno le famiglie che li sostenevano. Un particolare curioso sono i vari stemmi che la famiglia ha fatto scolpire lungo Via dei Fabbri: oltre ai segni distintivi dei Cellesi, un leone corrente e delle bande trasversali, alle due estremità vi sono delle cornucopie, classico simbolo di prosperità e abbondanza.
Alla metà del Trecento, la famiglia riesce a ricoprire le cariche più importanti a Pistoia: diventano infatti Gonfalonieri, Operai di San Jacopo e Canonici della Cattedrale. Il prestigio della famiglia cresce ancora nei secoli successivi, così come si moltiplicano gli appoggi a favore dei suoi membri: per esempio, nel 1431 Papa Eugenio IV concede a due fratelli della famiglia, Giuliano e Francesco, il titolo di conti.
Nel Cinquecento emergono le curiose storie di due fratelli: Giovanni di Mariotto e Lanfredino. Giovanni, di carattere irruento, nel 1530 è sulle tracce di un suo acerrimo nemico, che si trova imprigionato a Gavinana, dove si sta combattendo l’omonima battaglia tra 3.500 armati al soldo dei fiorentini comandati da Francesco Ferrucci e altri 9.000 armati, legati a cari capitani di ventura o al soldo dell’Imperatore Carlo V.
L’avversario di Giovanni si chiama Bernardino Strozzi, detto “Il Cattivanza”. Per riuscire a scovarlo, paga la bellezza di mille Ducati, ma quando scopre che è già ferito a morte, ha un moto di compassione: se lo porta a casa, lo cura da tutte le ferite della battaglia e lo rimette in libertà.
Lanfredino Cellesi, anch’egli di temperamento focoso, nel 1543, si trova nei dintorni di Poggibonsi: qui assale e uccide un certo Marsilio Marsigli di Bologna. Questa famiglia era importante per i suoi agganci con la Curia romana e con i Medici. Anche la famiglia Cellesi era appoggiata dai signori di Firenze, ma questo non evitò a Lanfredino la prigionia nel carcere di Volterra.
Nella città etrusca Lanfredino non
dovette starci tanto male: sebbene fosse imprigionato per scontare il crimine
che aveva commesso, beneficiava di un vero e proprio appartamento. Lui stesso
ebbe a chiedere che gli venisse concesso ‘di ospitare una di queste puttane
che hanno mia pratica’. Evidentemente gli dovevano essere usati dei
riguardi non indifferenti. Dopo 19 anni di “carcere” riesce a comprare
la propria libertà e a raggiungere Pisa, dove, nel 1586, istituisce il Baliato dell’Ordine
di Santo Stefano, fondato da Cosimo I per la difesa delle coste toscane dai Turchi.
In questo modo, porta la carica di Balì
anche a Pistoia e la acquisisce per il figlio Teodoro. Questo è il motivo per il quale Palazzo
Panciatichi, acquistato nel
1579 dalla famiglia Cellesi, è chiamato anche "Palazzo del Balì". I Cellesi, durante le violente lotte di fazione tra Cancellieri e Panciatichi, appoggiarono sempre questi ultimi, essendo uniti dalla stessa vicinanza nei confronti della Chiesa.
I Cellesi hanno anche creato una sorta di ‘piccola Pistoia’ nella valle del Tevere: un altro conte della famiglia, Girolamo Cellesi, intorno alla metà del Seicento, inizia l'edificazione di un borgo nella Tuscia su una porzione del feudo di Castel di Piero, acquistata dai Conti Baglioni. La cessione del terreno in feudo avviene nel 1668 grazie a Papa Clemente IX, nato Giulio Rospigliosi: fu la sorella del conte, Lucrezia, sposata con Camillo Rospigliosi, il fratello del papa pistoiese, a fare pressione su quest’ultimo perché desse il suo consenso. Lucrezia fu madre del Principe Giovanni Battista Rospigliosi Pallavicini, di donna Caterina Banchieri Rospigliosi e di due cardinali, Giacomo e Felice Rospigliosi.
A Girolamo si deve quindi la fondazione del borgo di Castel Cellesi, che è attualmente una frazione del comune di Bagnoregio (Viterbo). Si presenta come una piazza chiusa, costituita da quelle che erano le case dei contadini del feudo. Le due porte, la Porta di Sopra e la Porta di Sotto, erano ricavate dal muraglione che raggruppava le case. Un aneddoto particolare riguarda il Palazzo dei Conti Cellesi, che per decreto del Conte Girolamo, non doveva essere superato in altezza da nessuna costruzione, eccetto quelle religiose.
Oggi è abitato da 350 abitanti, dei quali una cinquantina sono stranieri, in particolare finlandesi. Numerosi sono i pensionati, anche toscani, che hanno scelto il borgo, acquistando un immobile a poco prezzo.
Tornando a Pistoia, altre proprietà della famiglia sono attestate: in via Abbi Pazienza, al numero 2, sede di un altro loro palazzo di epoca seicentesca; in via Sant'Andrea, al numero 3, dove uno dei Cellesi fu pievano dell’omonima chiesa e dove ha sede un condominio denominato Palazzo Cellesi, negli anni ’60 sede di una caserma dei Carabinieri; un palazzo tra via Curtatone e via degli Archi. Interessante notare che i clienti del Residence Artemura, in via Bozzi, ricevono la colazione proprio nel vicino Palazzo Cellesi.
Un altro membro cinquecentesco della famiglia è Piero Cellesi, che fece avviare la costruzione di quello che oggi è conosciuto come Palazzo Marchetti, nell’attuale via Curtatone e Montanara. Dopo aver comprato il terreno, fa dei passi falsi a livello finanziario e fallisce. Il figlio, Francesco, mette un fedecommesso (una sorta di ipoteca) sull’immobile e nel 1628 è costretto a venderlo.
Interessante anche la storia di Luca Cellesi, omaggiato dal nipote Girolamo con un monumento funebre all’interno della Chiesa di Santa Maria delle Grazie o del Letto. Venne inviato vescovo a Martorano, vicino a Napoli, proprio quando, nel 1638, la città è sconvolta dal terremoto. Il prelato assiste e conforta la popolazione, diventando sempre più benvoluto. La sua umiltà è testimoniata dal fatto che rifiuta la porpora cardinalizia che gli era stata proposta.
Nella Cattedrale, infine, c’è una lapide che ricorda Tommaso Cellesi, che fu arcivescovo di Siracusa: l’omaggio si deve al fratello Sebastiano, consigliere di Cosimo II de’ Medici.
La famiglia si estingue agli inizi dell’Ottocento, dopo una lunga scia di matrimoni con tutte le famiglie più importanti di Pistoia, dai Tonti ai Gatteschi, dai Sozzifanti ai Rospigliosi.
Nel
1853 Giovanni Tommaso, ultimo discendente degli Amati, nomina suo erede Giulio
di Luigi Cellesi, con l'obbligo di assumere il doppio cognome. Da allora e fino
al 2002, gli Amati Cellesi hanno abitato la Villa Medicea La Magia, a Quarrata,
unico patrimonio mondiale UNESCO della provincia di Pistoia, il cui nucleo originario si deve ai Panciatichi. La villa era già passata dai Ricasoli agli Amati nel 1766.
Lungo Corso Fedi, di fronte a Piazza Garibaldi, è impossibile non rimanere colpiti dal settecentesco Palazzo Amati Cellesi, sede provvisoria a metà 800 del Tribunale durante i lavori di ampliamento del palazzo Pretorio di piazza del Duomo. Passato alla Banca Toscana, attualmente appartiene al Gruppo Immobiliare del Monte dei Paschi di Siena, che lo offre in vendita o in locazione.
L’occhio esperto di Caterina e i suoi studi storici ci guidano verso un’altra curiosità: il portone d’ingresso, sovrastato dallo stemma degli Amati Cellesi e dal busto di un personaggio della famiglia, anticamente era una vòlta e dava l’accesso a una stradina che è stata inglobata nel palazzo. E’ nato così il Vicolo dei Conti, in origine una strada interna alla seconda cerchia muraria che doveva rimanere sempre sgombra, per favorire il movimento delle truppe in caso di attacco esterno. Nel Settecento, quando il Palazzo viene costruito e quando ormai esiste da tempo la terza cerchia muraria, questa esigenza di difesa non esiste più e il vicolo viene chiuso.
Dopo il racconto di Caterina, la
curiosità di addentrarmi dentro Vicolo dei Conti era troppo forte e sono andata
di persona a scattare qualche fotografia. Sono rimasta colpita da un piccolo e
antico balcone, nascosto dalle grate di un cancello che rimane proprio in fondo
alla stradina. Molto suggestiva anche l'insegna di via Amati, posta sulla parete posteriore della Chiesa di San Paolo.
Un piccolo tour che ho fatto in solitaria sulla base degli elementi forniti da Caterina Bellezza e che spero presto di ripetere insieme a lei e ad altri appassionati di storia dell’arte.