PISTOIASETTE

1 febbraio 1945: un traguardo nella lotta delle donne verso la piena uguaglianza

“Senza rossetto nella cabina elettorale” tuona il Corriere della Sera il 2 giugno 1946 con il consueto grassetto riservato al titolo di ogni articolo. Ebbene sì, le donne hanno rinunciato a indossare quel tocco di colore sulle labbra, tanto di moda soprattutto all’epoca, per potersi presentare presso il seggio, pena l’annullamento del voto. La ragione è presto spiegata: “la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell'umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po' di rossetto”. Frase che certamente suona assurda e che potenzialmente potrebbe scatenare le proteste di molte, ma questo non avviene. Le italiane non fanno propria questa battaglia perché ne hanno sposata una più grande. Poco importa alle donne di queste frivolezze, di questa limitazione alla libertà personale se di fronte a sé vedono finalmente riconosciuto il sacrosanto diritto politico tanto giustamente bramato e agognato. 

La data che segna il riconoscimento in Italia del suffragio universale è proprio oggi, il 1 febbraio di 77 anni fa. Correva l’anno 1945 quando venne emanato il Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 23: “Estensione alle donne del diritto di voto”, conferito alle italiane con almeno 21 anni di età. Suddetto riconoscimento da parte del Consiglio dei Ministri, presieduto da Ivanoe Bonomi, fu proposto da Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi: dopo anni di lotte e battaglie per la conquista di un diritto che è una pietra angolare e sulla scorta di molti Stati esteri, l’obiettivo fu raggiunto e fu coronata l’ambizione di molte. La prima occasione di tenere finalmente stretta in mano quell’agognata matita e potersi esprimere fu nel corso delle amministrative del 1946, seguì il referendum del 2 giugno 1946 in cui si scelse tra due forme di governo: Monarchia o Repubblica. Finalmente fu possibile anche per le donne tracciare quel segno che rende ciascuno parte di un tutto, che fa sentire ognuno membro attivo di una grande comunità e che consente di contribuire al bene comune e nazionale. La possibilità di votare, di farsi valere in un mondo cucito su misura di uomo, di esprimere la propria opinione e di far sentire la propria voce non sono concetti così scontati come li percepiamo oggi, ma sono il frutto di un duro lavoro. L’entusiasmo si riscontra in primis dalle cifre: un’affluenza femminile che in quell’occasione superò l’89%, numeri tristemente sconosciuti ai giorni nostri, anni come questi in cui è venuto a mancare tale citato entusiasmo e si è quasi scordato che il voto è un dovere prima che un diritto, rea anche la classe politica. 

Il 1 febbraio 1945 è una ricorrenza importante: segna il diritto della donna di contare esattamente quanto un uomo, non di più e non di meno. Parità. Un grande traguardo verso l’uguaglianza sul piano dei diritti politici, ma solo un passo nel grande cammino verso una parità di genere non ancora pienamente conquistata, a distanza di quasi un secolo. Tutt’oggi le donne marciano in nome di ideali che non sono e non devono essere utopie, ma che devono diventare concrete misure fruibili da ognuna. La speranza è quella di lasciare alle bambine di oggi una società sempre più giusta ed equa, come hanno fatto allora le mamme o le nonne di chi è donna ora. Il percorso è ancora lungo, ma sicuramente più breve di 77 anni fa e questo grazie alle battaglie vinte dalle ragazze del secolo scorso, le quali hanno reso possibili i risultati di cui oggi godiamo. Con le parole di Oriana Fallaci: “Essere donna è così affascinante. È un'avventura che richiede un tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna”, quindi ‘sursum corda’ e continuare la marcia. 

Chiara Capecchi
Chiara Capecchi

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