Un'arte antichissima, un rapporto che lega l'uomo ai rapaci. La falconeria rappresenta una tradizione che in tanti cercano di non disperdere.
Nobile, fiero, letale. Sono tanti
gli aggettivi che possono essere attribuiti al falco, scriverli tutti sarebbe
impossibile e di certo non completamente esaustivi di un rapace che, nel corso
della storia ha rivestito per l’essere umano un ruolo a tratti fondamentale. Spesso
considerato alla stregua di un dio – come non ricordare il dio Horus dell’Antico
Egitto così rappresentato – altre volte posto nell’elitario pantheon degli animali
più fedeli e vicini all’uomo. Tralasciando gli aspetti religiosi e mistici
della vicenda, è esistito un tempo nel quale la relazione tra l’uomo e il falco
ha assunto i tratti di una vitale simbiosi per affrontare le infinite
difficoltà di quei tempi, tempi nei quali appariva quantomai labile il confine
tra vita e morte. Questa connessione, utile nell’eterna rincorsa alla
sopravvivenza, ha fatto nascere quella che oggi noi tutti conosciamo come la
nobile arte della falconeria, ma che all’epoca era diventata una preziosa e
raffinata tecnica di caccia. Le radici della falconeria, come tutte le belle
storie del resto, sono velate dietro una fitta coltre di mistero e leggenda che
anche approfonditi studi non sono mai riusciti a risolvere con assoluta
certezza. Con ogni probabilità, nacque millenni or sono in terra d’Oriente (frequenti
sono infatti i riferimenti che si trovano nella cultura sumera o assira) per
poi essere introdotta nel resto del mondo civilizzato. In Europa l’arte della
falconeria ebbe un primo importante sviluppo in epoca medievale, grazie
soprattutto a Federico II di Svevia che trasformò la falconeria da pratica
venatoria a sport e scrisse anche un trattato “De arte venandi cum avibus” (L'arte di cacciare con gli uccelli). Da
quel momento, con alterna fortuna, a più riprese ha fatto capolino nella vita
sociale dell’uomo, fino ad arrivare all’epoca contemporanea nella quale
quest’arte antichissima sta ritrovando l’antico splendore ed è ormai conosciuta
ai più grazie agli spettacoli nel corso delle rievocazioni storiche e non solo.
Seppure la falconeria sia ormai
ampiamente diffusa e conosciuta in tutta la penisola, una delle regioni con la
più importante storia alle spalle è la Toscana, dove non mancano scuole ed
associazioni tra le più apprezzate. Uomini e donne che, per motivi diversi, si
sono avvicinati con religioso rispetto intessendo un rapporto con l’animale che
trascende la spicciola materialità. Tra gli esempi più rilevanti troviamo i
Falconieri del Granducato di Toscana, con sede nella provincia di Pistoia, e
nata grazie all’intuizione di Fabio Bonciolini un uomo che ha fatto
della falconeria e dell’addestramento dei rapaci la sua vita. “Da circa
tredici anni sono riuscito a trasformare quella che era una passione giovanile
in un lavoro – ha raccontato Fabio che al momento si sta occupando di
numerosi falchi, sacri e pellegrini, di un’aquila e anche di un attento ed
imbronciato gufo reale – Da bambino mi perdevo ad ammirare il cielo per
osservare i rapaci in volo, poi ho avuto la fortuna di incontrare colui che mi
ha insegnato quest’arte e da lì è iniziata la mia avventura”. Da passione a
lavoro il passo è stato breve ma non facile, visto che il segreto dietro cui si
cela tale successo è l’intimo rapporto di fiducia che si è creato tra Fabio e i
suoi rapaci. Un rapporto inscalfibile che si costruisce di giorno in giorno,
sin dalle prime ore del mattino perché la giornata tipo inizia sempre molto
presto. “La maggior parte del tempo si trascorre nell’osservazione delle
coppie e sugli animali che si vogliono riprodurre. Dopodiché un ruolo
fondamentale lo riveste anche l’addestramento quotidiano”. L’addestramento
si basa su quello che in gergo tecnico si chiama condizionamento operante, i
falchi – che spesso vengono lasciati liberi nel loro ambiente, anche se sempre
sotto la vigile attenzione del falconiere – ricevono una ricompensa ogni
qualvolta, ad esempio, eseguono un buon volo. Ricompensa che, come è lecito
attendersi per dei buoni carnivori, assume le sembianze di topi, quaglie,
pulcini, piccioni e conigli. Tra le curiosità più interessanti raccontate da
Fabio c’è quella relativa ai richiami verso questi splendidi animali. Se di
primo acchito si è portati a pensare che i rapaci rispondano al solo richiamo
di vocalizzi o suoni, la realtà ci racconta come, in alcuni casi, il falco
risponda anche al proprio nome. Non tutti certamente, anche perché i rapaci
sono animali complessi ognuno avente un proprio carattere e proprie peculiarità, con una vita media che si aggira all’incirca attorno ai venti o trent’anni.
Tuttavia, Fabio da un po’ di tempo ha smesso di occuparsi in prima persona
dell’associazione, rivolgendo la sua attenzione esclusivamente all’addestramento dei rapaci. A succedergli sono stati i suoi allievi, tra cui
Niccolò e Gianluca che portano avanti i Falconieri del Granducato di Toscana
con la stessa passione. “L’associazione ha da sempre come focus la
divulgazione della falconeria, operando sia in ambito scolastico che nelle
rievocazioni medievali. Entrambi ambiti molto interessanti, in quanto
racchiudono un grande ed eterogeneo bacino d’utenza. In questi anni ci siamo
accorti che attorno alla falconeria, e agli stessi rapaci, c’è tanta ignoranza.
A noi il compito di contrastarla.”. Un’ignoranza che, a dispetto del grande
eco che sta riscoprendo negli ultimi anni, deriva in gran parte anche dal fatto
che stiamo parlando di un’attività sostanzialmente di nicchia, da qui la
necessità di approfondire nel giusto modo la questione. Ad esempio, una delle
domande che molti si pongono è quella relativa al come comportarsi con un
rapace. La risposta è netta “non come con un cagnolino. Non bisogna
avvicinarsi velocemente e direttamente, né tantomeno provare ad accarezzarli.
Sono predatori, gli estranei non devono dare loro confidenza”. Diventare un
falconiere non è di certo facile, è un lungo percorso al quale non basta la
sola passione o l’amore per l’animale, ma c’è tanto studio e altrettanta
preparazione. Ad esempio, Niccolò ha impiegato anni e anni prima di potersi
definire un vero falconiere “Ho iniziato che avevo 14 anni, ci vogliono
grande esperienza e lavoro quotidiano. Con questi animali bisogna lavorarci
tutti i giorni, conoscerli, leggere i loro comportamenti e passarci del tempo.
Anche perché hanno caratteri diversi e spesso difficili”. A tal proposito
non dovrebbe più sorprendere vedere un falco incappucciato, il perché è
facilmente intuibile: il senso più sviluppato è proprio la vista ed in presenza
di estranei tappargliela momentaneamente è l’unico modo per farli stare
tranquilli.
Sta a loro, adesso, portare avanti l’antica tradizione. Nonostante le difficoltà di questo strano periodo, l’associazione ha da tempo aperto dei corsi che partono dalla teoria ed arrivano alla pratica, con in testa l’obiettivo di non disperdere una delle tante testimonianze che ci raccontano gli infiniti passi mossi dall’uomo su questa terra. Una tradizione ed una testimonianza più forte delle critiche che sovente vengono portate avanti dalle associazioni animaliste. I rapaci, come ci raccontano, non vengono mai catturati nel loro habitat e privati della propria libertà, ma comprati in cattività e poi curati tutti i giorni. "Le critiche il più delle volte derivano dalla scarsa conoscenza che si ha della falconeria".